Archivio

giovedì 26 ottobre 2023

DOGMAN

 

Una città qualunque in America: Doug, un uomo travestito da donna viene fermato da una pattuglia della polizia mentre è alla guida di un camion, al cui interno ci sono una ventina di cani. Portato alla più vicina stazione di polizia racconterà, poco per volta, la storia della sua vita alla psichiatra criminale che è stata chiamata per far luce sulla sua identità. Ma chi è Doug? Perché è vestito da donna? E perché il furgone che guidava era stipato di cani di tutti i tipi?

“Ovunque ci sia un infelice, Dio invia un cane" scrisse Lamartine. Luc Besson parte da un fatto di cronaca nera avvenuto in Francia (un ragazzino rinchiuso in una gabbia dai suoi genitori) per raccontare il suo personaggio: brutalizzato dal padre e dal fratello ha vissuto un'adolescenza a dir poco terribile e solo l'amore dei cani lo ha salvato più volte da una morte fisica e dell’anima. In grande forma, il regista scrive e dirige una fiaba post moderna, un film d'azione non solo interiore creando un personaggio che non ispira pietà, ma simpatia, nonostante tutto. Ho scritto fiaba, perché a ben vedere, alcuni elementi logici (e li troverete da soli guardando il film, non sarò certo io a svelarli) non tornano, alcuni particolari, forse scritti in sceneggiatura, mancano, e perché in una fiaba credi a tutto quel che vedi, non ti poni domande, sospendi la credibilità. E poi perché c'è un rimando antico ai cattivi e ricchi contro i buoni e poveri, un tentativo un po' arcaico di ridistribuire le ricchezze. E i modi per farlo sono molto brillanti e pieni di inventiva. Nel film l'azione emotiva è data dal racconto di un personaggio bellissimo, emarginato ma attaccato alla vita: la sua rappresentazione è affidata al notevolissimo Caleb Landry Jones (per favore dateci altri film con questo magnifico attore!) che scompare per dar vita al personaggio di Do(u)g, un personaggio devoto a Dio e ai cani che, come egli stesso dice, recepiscono ogni tipo di comando e addestramento. E a proposito di questo, ci sono voluti più di venti addestratori e alcuni stunt men per le scene con i cani. Presentato in anteprima e in concorso all’edizione di Venezia di quest’anno il film è molto godibile, ritmato, emotivamente convincente. Al cinema.


giovedì 19 ottobre 2023

FRAMMENTI DI UN PERCORSO AMOROSO

 

Attraverso 12 storie di uomini e donne, apparentemente slegate tra loro, ma accomunate dalla presenza di un'unica persona (il personaggio Chloe) la regista Chloe Barreau apre a un racconto sull’amore, sulle proprie relazioni amorose, sul ricordo che ognuno di noi conserva delle persone amate. E lo fa in un modo molto particolare. Immaginate di sfogliare un album di foto dei vostri ex: in un modo simile la regista, al posto di un album di fotografie, utilizza tutta una serie di filmati che lei stessa ha ripreso con una telecamera, a partire da quando aveva 16 anni, mentre viveva le storie e le persone. A distanza di anni recupera quelle stesse immagini e le unisce con interviste fatte ai giorni nostri ai suoi ex, completando e arricchendo così le storie stesse. Il punto di forza di questo film, prodotto da Groenlandia di Matteo Rovere, sta sicuramente nel ritmo e nelle storie che vengono narrate. Apparentemente banali e al contempo uniche: ma quale storia d’amore non lo è? Eppure nella banalità e nell’unicità si trova sempre qualcosa che è comune a tutti/e: l’abbandonarsi a un amore con tutta l’anima e la passione, lo stupore di una bugia, la brutalità del lasciare o dell’essere lasciati e molto altro ancora. Il film inizia con una domanda che la stessa Chloe personaggio si rivolge: "C'è differenza tra l'amare e essere amati?" Vale a dire, c'è differenza tra l'amore che noi mettiamo in gioco in una relazione amorosa e la percezione che gli altri (gli amati) hanno avuto di noi e di quell’amore che con noi hanno vissuto? E poi ancora, il tempo aiuta i ricordi o distorce in qualche modo quel che noi ricordiamo? Io vi ho amati/e, sembra dire la regista e voi, cosa ricordate del mio/nostro amore? Sono tutti spunti di riflessione che la regista francese trapiantata a Roma (si) pone in un film che trova forza, anche, nel montaggio delle interviste e nel percorso stesso che come un filo visibile si insinua tra una storia e l’altra. Un film temerario, perché ci vuole un gran coraggio e, forse, una punta di esibizionismo a esporsi in maniera così intima e personale.

Il titolo omaggia Roland Barthes e il suo saggio “Frammenti di un discorso amoroso”.

Presentato a Venezia, è molto interessante e emozionante, solleva domande e ricordi nello spettatore. Proposto in versione originale con sottotitoli (la metà degli intervistati è francese) è da non perdere.

Al cinema.

domenica 15 ottobre 2023

SICK OF MYSELF

 

Signe è una ragazza che lavora in una caffetteria di Oslo. Il fidanzato Thomas è un artista ladro, che ruba oggetti d'arredamento per riadattarli come opere d'arte. Signe soffre molto per l'attenzione generale che Thomas riceve da parte di amici e conoscenti. La ragazza cerca in ogni modo di attrarre l'attenzione su di sé, ma senza riuscirci. Finché un giorno su internet scopre una droga illegale che come conseguenza rovina in modo evidente la pelle e decide deliberatamente di comprarla e usarla, con conseguenze terribili. Malata di me stessa, più che all'ossessione della ragazza il titolo sembra alludere alla società che è malata di sé stessa, della propria narcisista apparenza e della ricerca a tutti i costi di attenzione mediatica. Ognuno è sempre più egocentrico: la febbre da like, ovvero il disperato bisogno di ognuno di ricevere attenzione, di piacere, di essere riconosciuto e ammirato. Il norvegese Kristoffer Borgli, neanche quarantenne, scrive, dirige e monta una black comedy dalla buona trama, che grazie ai toni ironici, ma non per questo meno seri, mostra un tema che altrimenti sarebbe risultato troppo pesante e sgradevole. Inoltre inserisce alcuni pensieri di Signe che si confondono volutamente con la realtà della narrazione, tanto che a volte ci si chiede se facciano davvero parte della realtà (scenica) oppure siano solo sogni della ragazza. Kristine Kujath Thorp dà una buona interpretazione. Il trucco da Oscar di Izzi Galindo e Dimitra Drakopoulou (premiati come miglior Trucco al festival norvegese Amands Awards 2023) che trasforma il volto di Signe in una maschera spaventosa e deforme aiuta enormemente la narrazione di questo film comunque un poco disturbante. Ha ottenuto il marchio di qualità dai Critici Cinematografici Italiani (SNCCI) . Interessante e freddino, non cerca empatia con il pubblico. Tuttavia, da vedere.

Al cinema.

lunedì 9 ottobre 2023

THE PALACE


Parlate pure male di me, purché ne parliate”, scriveva Oscar Wilde. In effetti “The Palace”, nuovo film di Roman Polanski di critiche negative ne ha ricevute parecchie al festival del cinema di Venezia di quest’anno: non ha né capo né coda, è volgare, assomiglia a un cinepanettone e altre nefandezze. Il modo migliore per affossare il film del novantenne regista sarebbe stato ignorarlo. Invece no, parlarne male fa nascere la curiosità nello spettatore: sarà davvero così brutto e volgare come dicono? D’accordo, non ci troviamo di fronte a un capolavoro, semmai a una più che riuscita satira su una certa parte di una società: quella dei ricchi sfondati e riccastri, uomini arroganti e presuntuosi che pensano di poter comprare tutto con il cash; un manipolo di russi arricchiti e probabilmente corrotti con urlanti modelle al seguito; donne giovani disposte a tutto per una congrua eredità e donne meno giovani massacrate da una chirurgia plastica che le fa somigliare l’una all’altra. Prendete questo campionario di (dis)umanità inimmaginabile, trasportatelo in un hotel di extra lusso in Svizzera nella notte di capodanno del millenium bug, (da cui tutti, ricchi e non sono preoccupati), seguite le sorti di un “povero” direttore di hotel che ne vede di ogni e di altri balzani personaggi e avrete The Palace. Un film grottesco, certo; volgare, certamente, persino scatologico perché bisogna “sporcarsi” nel mostrare feci (peraltro canine) se si vuole parlare di feccia umana. A parte tutto ciò, se vi par poco, il film è divertente, si ride, anche se non c’è una grande introspezione dei personaggi perché ognuno di loro è un po’ la parodia di sé stesso e perciò una macchietta. Il doppiaggio accentua un po’ la volgarità di certe situazioni, la versione originale rende meglio anche le differenze geografiche degli ospiti dell’hotel. Tra gli attori svetta un gigantesco Mickey Rourke, bravissimo; una sempre affascinante Fanny Ardant; un notevole John Cleese e un divertente Luca Barbareschi (da anni produttore dei film di Polanski) nei panni di un ex divo del porno. Durante i titoli di coda attenzione agli effetti visivi sull’hotel.  Al cinema.

mercoledì 4 ottobre 2023

IO CAPITANO di Matteo Garrone

Non si tratta di un biopic su Javier Zanetti, mitico capitano dell’Inter, ma dell’ultimo film di Matteo Garrone, classe 1968. Giunto alla sua undicesima opera, il pluripremiato regista romano affronta il tema dell’immigrazione clandestina, ma lo fa partendo da un punto di vista differente. I cugini Seydou e Moussa hanno sedici anni, vivono a Dakar, in Senegal e hanno un sogno: andare in Europa. Per farlo svolgono piccoli lavoretti che permettono loro di metter da parte un bel gruzzolo e partire. Inizia così, in maniera un po’ ingenua e precipitosa il loro viaggio, una vera e propria odissea, in cui sperimentano a loro spese la crudeltà umana di polizia di confine e mafia libica. E’ una sorta di coming of age dove il passaggio dalla serenità del sogno dell’adolescenza si scontra brutalmente con la ferocia animalesca di chi vive e guadagna, senza farsi scrupoli, con il traffico degli esseri umani. Garrone ci trasporta in questo mondo crudele basandosi sulle testimonianze di chi il viaggio lo ha vissuto realmente, scrivendo una sceneggiatura densa e senza fronzoli (insieme a Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini e Andrea Tagliaferri) e affidando lo sguardo della disperazione, della fatica, dell’umanità negata ma anche della gioia a un giovane attore non professionista, Seydou Sarr. Inoltre, sceglie di non doppiare il film ma di renderlo ancora più reale lasciandolo nella lingua originale e permettendoci così di entrare ancor più dentro la storia. Ne viene fuori un film palpitante e umano, che non lascia indifferenti e che non cerca nemmeno la lacrima facile. Un’opera giustamente premiata a Venezia 2023 con il Premio speciale per la regia e il Premio Marcello Mastroianni per Seydou Sarr come migliore attore emergente. Ai recenti David di Donatello il film ha fatto incetta di premi: Miglior film, Miglior regia, Miglior produttore, Miglior autore della fotografia (Paolo CArnera), Miglior montaggio (Marco Spoletini), Miglior suono, Migliori effetti speciali visivi. Un film che tutti dovrebbero vedere. In versione originale  con sottotitoli in italiano. Al cinema.