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lunedì 26 febbraio 2024

LA SALA PROFESSORI di İlker Çatak

 

Carla Novak è la nuova insegnante di una classe media presso una scuola tedesca. Di impianto idealista, cerca di far luce su una serie di furti avvenuti nella sala professori. Decide di indagare personalmente e per questo registra con la camera del proprio computer la sua giacca, poggiata su una sedia, con il portafoglio dentro una tasca, nella speranza di poter identificare il ladro. Le conseguenze del suo gesto scateneranno una serie di reazioni a cascata. All’inizio non sembra accader nulla, poi succede qualunque cosa, tra discriminazione sociale, bullismo, violazione della privacy e molto altro. Il regista tedesco di origine turca Ilker Çatak per parlare della società nel suo complesso parte da una situazione che avviene  in una scuola: c’è un capo di Stato (la preside e il consiglio dei docenti) che detiene il potere, c’è il popolo (rappresentato dagli studenti), c’è l’organo di stampa che racconta la sua verità (il giornalino della scuola). Per dare il senso di pressione in cui il personaggio principale, interpretato da un’ottima Leonie Benesch (Il nastro bianco, Lezioni di persiano, Babylon Berlin) e gli altri insegnanti si muovono sceglie uno schermo a 4:3, un formato che non lascia spazio. Lo spettatore è catturato dal racconto e, grazie a una scrittura efficace e dal montaggio veloce e misurato, segue con attenzione trepidante e empatica lo svolgersi degli eventi. Candidato agli Oscar per il miglior film internazionale ha già conquistato svariati premi: Cicae Art Cinema Awards al Festival di Berlino 2023, German Film Awards 2023 (Miglior film, miglior regia, miglior attrice a Leonie Benesch, miglior sceneggiatura, miglior montaggio). Un film molto interessante da non sottovalutare. Al cinema.

giovedì 22 febbraio 2024

UPON ENTRY – L’ARRIVO di Alejandro Rojas e Juan Sebastian Vasquez

 

Siete una coppia che parte da Barcellona diretta a Miami con l’intento di rifarvi una vita. Siete pieni di dubbi, speranze, paure. Vi chiedete se questa è la scelta giusta, lasciar tutto e ricominciare in un altro luogo, in un altro mondo. Forse un giorno ripenserete a questo momento, ma ora no, ora siete pronti per andar via, avete salutato i vostri cari, quelli che lasciate a casa e partite. Tutti questi pensieri sono incarnati nei visi dei due attori, i bravissimi Alberto Amman (Cella 211, Narcos, Griselda) e Bruna Cusi e vederli nell’aereo e poi atterrare felici allo scalo di New York ce li fa sentire vicini, simpatici. Fai il tifo per loro, per Diego, pianificatore urbano venezuelano e Elena, ballerina catalana, perché sono due persone coraggiose che insieme hanno deciso di provarci. Solo che al controllo passaporti a New York vengono fermati e interrogati da un funzionario della polizia di confine. I due, nel corso del duro e intenso interrogatorio, scopriranno segreti e verità su ognuno di loro. E’ un film piccolo piccolo (anche nella durata, 75 minuti) questo esordio alla regia in un lungometraggio di Alejandro Rojas e Juan Sebastian Vasquez: ambientato per lo più nella stanza dell’interrogatorio ha il suo punto di forza in una sceneggiatura orchestrata alla perfezione. Una scrittura che rientra nella migliore tradizione del dramma-suspense con l’aggiunta del kammerspiel (inevitabile, visto che l’azione si svolge quasi sempre nello stesso ambiente) dove l’incalzare delle domande e delle risposte fa crescere l’ansia in chi guarda trasformandolo in un vero e proprio thriller. Una pellicola che fa dell’essenziale un’altra arma vincente: non un movimento di camera che non sia necessario, musica solo sui titoli di testa e coda, mentre luce che salta all’improvviso e rumori che provengono dall’esterno della stanza dove si svolge l’interrogatorio rendono alla perfezione il senso di straniamento e isolamento degli interrogati. Premiato in vari festival indipendenti tra cui Malaga 2022 (Alberto Amman migliore attore), Kolkata 2022 (miglior film), Premio Feroz 2023 e Premio Gaudì 2023 (miglior sceneggiatura originale). Un film godibile e credibile, anche nella parte finale. Al cinema.

giovedì 15 febbraio 2024

POOR THINGS! - POVERE CREATURE! di Yorgos Lanthimos

Bella è una giovane donna che viene riportata in vita dal chirurgo Godwin Baxter (un grande Willem Dafoe) che le trapianta il cervello del feto che ella porta in grembo. Per osservare il risultato ottenuto e aiutare il cervello “infantile” di Bella a svilupparsi il dottore si fa assistere dallo studente di medicina Max McCandles che, con il tempo, si innamora di Bella. La quale, desiderosa di conoscere il mondo, scappa con lo scaltro avvocato Duncan Wedderburn (un bravissimo Mark Ruffalo) che vede in lei una nuova conquista da sfoggiare. Ma presto scoprirà il lato ribelle di Bella. Non svelerò altro di questo film bellissimo che chiede solo di essere guardato. Siamo entusiasti e ammirati nel vedere come il cinema di Lanthimos si sia evoluto. La tematica, a grandi linee, è sempre la stessa: raccontare la crudeltà dell’essere umano. Partendo dalla brutalità della vita “casalinga” (Dogtooth), passando dalla distopia disturbante (The Lobster) e proseguendo verso la ferocia di ispirazione greca (Il sacrificio del cervo sacro) e la spietata vita di corte (La favorita) il regista greco “scopre” che per narrare la crudeltà non bisogna necessariamente utilizzare il dramma, ma si può anche ricorrere alla commedia (tanto da essere premiato col Golden Globe per Miglior film commedia o musicale). Certo, una commedia in stile Lanthimos, perciò non vi sganascerete come nel Frankenstein di Mel Brooks, ma potrete comunque sorridere e a volte ridere. Una risata pura, non falsata dall’ansia o dalla paura, qui la paura la fanno gli essere umani, o almeno quelli che cercano di contenere e addomesticare il carattere ribelle e anticonvenzionale di Bella. Il racconto si divide tra il mondo “reale” in bianco e nero e il mondo che Bella brama vedere e conoscere, a colori forti, dove ogni luogo o situazione  è ricostruito: in questo senso la Lisbona dove Bella inizia a conoscere e sperimentare i propri appetiti sessuali è ricostruito in un modo favolistico che rasenta la parodia. Eppure funziona, tutto è giusto e perfetto, tutto è credibile perché se credi che una donna possa rinascere con il cervello di un feto puoi credere anche a tutto il resto. E’ un coming of age insolito, perché il corpo è già sviluppato, mentre la mente è da formare e quello che serve per arrivare alla propria identità e alla piena consapevolezza di sé è un percorso senza guida tra sessualità, filosofia, prostituzione consapevole e infine vendetta. Un film incredibile dove l’uso smodato del fish-eye (un grandangolo estremo che produce un’immagine distorta) indica il senso di disorientamento e i momenti in cui Bella si sente intrappolata fisicamente o mentalmente. Lanthimos voleva fare questo film da molto tempo, da quando scoprì il romanzo omonimo dello scozzese Alasdair Gray. Come in “La favorita” affida la sceneggiatura a Tony McNamara e si concentra “solo” sulla realizzazione. Anche divertendosi, evidentemente, a auto citarsi nel finale e a creare animali inesistenti nella realtà. Il film si avvale dell’interpretazione di un’eccezionale Emma Stone (Golden Globe, Oscar e BAFTA), dei già citati Ruffalo e Dafoe, e dei piccoli ruoli per Margaret Qualley, Hanna Schygulla e Ramy Youssef. Leone d’Oro a Venezia, Miglior Protagonista a Emma Stone e Miglior Fotografia (Los Angeles Film Critics Association), Miglior Attore non protagonista a Mark Ruffalo, Miglior sceneggiatura non originale a Tony McNamara (National Board of review), Oscar 2024 per Migliori Costumi, Miglior Scenografia e Miglior Trucco e accociature. E’ di certo il film che apre a Lanthimos le porte al grande pubblico e non solo ai suoi estimatori. Da non perdere. Al cinema.

giovedì 8 febbraio 2024

GREEN BORDER di Agnieszka Holland

Immaginate di partire per la Bielorussia con la vostra famiglia dalla Siria, dall'Afghanistan o dal Congo, il viaggio aereo a carico del presidente bielorusso Lukashenko che vi ha fatto intendere che dal suo paese potrete raggiungere facilmente la Polonia e quindi l’Unione Europea. Immaginate poi di arrivare all'aeroporto, di essere caricati su un furgoncino i cui conducenti appena lasciata la città vi chiederanno brutalmente dei soldi per proseguire, una cifra spropositata, che pagherete. Immaginate infine di essere portati in una foresta, scaricati nei pressi di un filo spinato, che sarà poi sollevato così da passare dall'altra parte. Scoprite poi dal GPS del vostro cellulare di essere arrivati in Polonia. Vi abbracciate con gioia pensando di essere salvi. In realtà è solo l'inizio del vostro calvario. Dopo aver passato una notte al gelo immaginate che i militari di confine polacchi, dopo avervi un po’ rifocillati, vi accompagnino al filo spinato che è il confine e vi obblighino a passare dall'altra parte, nonostante le vostre suppliche. Se riuscite a immaginare tutto questo potete anche non vedere Green border. Il nuovo film di Agnieszka Holland è brutale e necessario, per il mondo e per noi europei che ci giriamo dall'altra parte e non facciamo nulla anche se potremmo. Lasciate al loro destino, nella terra di nessuno, al gelo e affamate, respinte dalla Bielorussia, dalla propaganda polacca che non le considera persone ma "pallottole" di Putin contro l'Unione Europea e di conseguenza dalla milizia polacca che considera i rifugiati “terroristi, pedofili, degenerati”. È un pugno nello stomaco che lascia il segno, e del verde del titolo rimane solo la sequenza iniziale, una foresta vista dall'alto: il resto del film è immerso in un bianco e nero livido e disperato, dal taglio fortemente documentaristico, la camera da presa è vicinissima ai profughi, li segue da vicino e ne mostra il dolore e l’angoscia di una situazione che dal 2021 continua ancora oggi. Narrato da vari punti di vista (la famiglia siriana, i militari, gli attivisti, la psicologa) il film è stato oggetto in Polonia di una violenta campagna di diffamazione da parte del partito al governo (poi sconfitto nelle elezioni dell’ottobre 2023). Per questo motivo il film non è stato candidato dalla Polonia all’Oscar per miglior film straniero, per nascondere una verità scomoda. E non basterebbe solo questo presupposto per vedere e far vedere questo film? Un film politico, schierato, perché come si fa a non prendere le parti di una persona che abbandona la città natale, la propria vita e lavoro ("cosa dovevo fare, dice una donna, aspettare che arrivassero i talebani?") in cerca di una possibilità di vita migliore e che viene palleggiata e malmenata tra il filo spinato delle guardie di confine? Se un film non può cambiare le cose ha il dovere sacrosanto di mostrarle. Premio speciale della giuria al festival di Venezia 2023 e Premio del pubblico al Festival internazionale di Rotterdam. Da vedere. Al cinema.

venerdì 2 febbraio 2024

IL PUNTO DI RUGIADA di Marco Risi


I giovani Manuel e Carlo sono stati condannati, uno per spaccio, l'altro per aver provocato un incidente d'auto e la pena viene tramutata in lavori socialmente utili da svolgere presso una casa di riposo, di 18 mesi per l’uno e 12 per l'altro. Arrivati a Villa Bianca il direttore mette subito in chiaro le loro mansioni: dovranno occuparsi degli anziani chiamandoli ospiti, delle pulizie e di tutto quello che la severa e integerrima infermiera Luisa chiederà loro e alla quale ogni giorno dovranno fare rapporto. Marco Risi torna al cinema (finalmente!) dopo cinque anni dallo scarso “Natale a 5 stelle” dirigendo con mano sicura e garbata un film struggente e lieve (ma non per questo leggero e poco profondo) basandosi sul classico tema della diversità tra giovani e anziani, pardon ospiti, tra il rifiuto delle regole e l’osservanza stretta delle stesse. Ma si sa che gli opposti se si respingono all'inizio finiranno poi per attrarsi, è una legge fisica. Come nel caso del punto di rugiada che è un termine meteorologico. Ed è sempre interessante notare e mostrare come tale attrazione si verifichi. Il film ha un buon ritmo, segue le quattro stagioni dell'anno (e della condanna di Carlo) e si regge su un manipolo di anziani attori di ottimo (Massimo De Francovich, Eros Pagni e Luigi Diberti) e buon livello (Maurizio Micheli e Valerio Binasco) e di giovani dai visi espressivi (Alessandro Fella, Lucia Rossi e Roberto Gudese). Diverte con una punta di amarezza, senza esagerare e svela senza fretta i segreti del passato di ospiti e volontari. Tutto giusto, tutto calibrato, anche gli omaggi alla famiglia Risi sono gradevoli e azzeccati: un ospite porta il nome del padre Dino, mentre le poesie che un altro ospite cita sono dello zio Nelo, poeta e regista con cui Marco Risi debuttò nel cinema come assistente). L’unica cosa un po’ fuori luogo è la chiusura finale, non convince il ritorno alla brutale realtà dopo aver sperimentato un luogo se non incantato quanto meno un po' fuori dal tempo e dalla vita di tutti i giorni. Un film gradevole e gentile, un po' raro da trovare nel panorama cinematografico italiano. E come tale è considerato: il film è distribuito in poche sale, e grazie solo al passa parola di chi l'ha visto, è giunto alla terza settimana di programmazione. E’ probabile che dopo averlo visto non direte più “Mah”. Vedetelo, non rimarrete delusi. Al cinema.