Archivio

venerdì 27 settembre 2024

FINALEMENT di Claude Lelouch

 


Lino Massaro è un uomo deluso dalla propria vita, dagli affetti e dal lavoro. Un giorno decide di mollare tutto e scomparire: parte in autostop verso Mont Saint-Michel e da lì ad Avignone. Durante il suo vagabondare incontra persone e luoghi e noi scopriremo di più su di lui, tra vite sognate e reali. Lelouch, classe 1937 e gran maestro francese della commedia e non solo, fa il punto con la (propria) vita, tra sorrisi e lacrime, rimpianti e desideri. In effetti il film più che della figura di Lino (interpretato da un notevole Kad Merad) sembra parlarci dell’uomo Lelouch e dei sentimenti, delle esperienze, della nostalgia e della passione che lui (e con lui ognuno di noi) ha messo nella propria vita. Ha sempre amato i suoi personaggi e anche qui “sono delle persone che abbraccerei e con le quali passerei volentieri del tempo” dice il regista presentando il film al pubblico. E aggiunge che “della nostra storia conosciamo l'inizio e sappiamo come andrà a finire, perciò forse è meglio andare in quella direzione cantando”. Per questo nel suo film sono presenti alcune canzoni (tra cui quella che prende il nome dal titolo del film, cantata dallo stesso Merad) che sono un valore aggiunto. Nonostante questi elementi il film non vola come dovrebbe, ed è un vero peccato, perché questo delicato progetto che voleva essere un inno alla follia e alla poesia dei sentimenti (come recita il trailer italiano) in alcuni momenti gira un po' a vuoto, si ripete e si dilunga, così come  le canzoni un po’ troppo ripetute appesantiscono la vicenda. Il fuorviante e ridicolo sottotitolo all’edizione italiana (storia di una tromba che si innamora di un pianoforte) è l’ennesimo tentativo, maldestro, di spiegare eventi che riguardano il film. In cui c’è un divertente omaggio a Lino Ventura che Lelouch diresse nel 1972 (“L’avventura è l’avventura”) e alla stessa Francoise Fabian che con il regista francese girò nel 1973 “Una donna e una canaglia”: in “Finalement” sono presenti degli spezzoni di entrambe le pellicole. Nel complesso è un film gradevole, interpretato anche da Elsa Zylberstein, Sandrine Bonnaire, Michel Boujenah, Barbara Pravi. Al cinema.

venerdì 20 settembre 2024

ANYWHERE ANYTIME di Milad Tangshir

 


Issa è un giovane senegalese irregolare che vive a Torino. Lavora in un mercato cittadino ma perde l’impiego perché chi lo fa lavorare (in nero) teme multe della polizia locale. Disperato, chiede aiuto all'amico Mario, senegalese anche lui, che fa il cuoco in un ristorante e che gli presta i soldi per comprare una bicicletta usata così che Issa possa fare il rider. Mario gli dà anche il suo smartphone e il suo account per la ditta Anywhere Anytime. Issa è felice perché ha un nuovo lavoro, ma il secondo giorno gli viene rubata la bici e il ragazzo cade in una profonda disperazione. Infatti non trova nessuno disposto ad aiutarlo a ricomprare una bicicletta per continuare il suo lavoro di rider. Milad Tangshir, iraniano di nascita ma torinese di adozione, proviene dal documentario. I suoi cortometraggi (The celebration, Displaced, 13 seconds) hanno ricevuto premi in tutto il mondo. Questo è il suo primo film di finzione, un'opera dalla trama apparentemente esile eppure forte, che si dipana tra le vie grandi e piccole di una città qualunque. Città indifferente ai problemi di un ragazzo che chiede solo di poter vivere una vita dignitosa e che invece si ritrova a dover sottostare a soprusi e ingiustizie. È notevole come l'occhio del regista mostri la storia di Issa senza giudicarla, una vicenda che potrebbe essere la summa di tante altre che capitano anywhere anytime, ovunque e sempre. Sono passati 75 anni da “Ladri di biciclette” di De Sica (cui il film è stato accostato), e la condizione e la disperazione umana sembrano le stesse, con la differenza del cambio del "personaggio": se li era un disoccupato italiano nel secondo dopoguerra ora sono altri uomini, altri giovani che arrivano da paesi spesso colpiti dalla guerra. È molto interessante il percorso che compie Issa, profondamente buono che però nell'eccezione dello sconforto cede all'impulso di rubare una bicicletta, cade anche lui in un disperato atto criminale, e la bicicletta rubata diventa così simbolo di desiderio raggiunto con la forza e non con il lavoro. Tangshir scrive il film con Giaime Alonge e con quel Daniele Gaglianone che ben conosce la "socialità" del territorio in cui si svolge la storia. Tra tante corse e affanni è lodevole il tentativo, ben riuscito, di inserire una pausa, un momento per recuperare la propria umanità, un incontro per dialogare tra due persone sconosciute, bellissimo e toccante. Il regista prende attori non professionisti e li guida verso quello che gli interessa (far) vedere: il senso di paura e ansia di chi vive ai margini, spesso invisibile. Dopo questo film la vostra percezione dei rider non sarà più la stessa. Presentato a Venezia (Settimana internazionale della critica) e al Festival Internazionale del Film di Toronto. Da vedere. Al cinema.

venerdì 13 settembre 2024

CAMPO DI BATTAGLIA di Gianni Amelio

 


Fin dalla prima scena in cui compare Stefano (l'ottimo Gabriel Montesi), ufficiale medico integerrimo che non ama il suo lavoro eppure lo fa, capiamo il suo carattere forte e inflessibile. Deve esserlo, se vuole scoprire chi tra i malati dell'ospedale in cui lavora è un vero ferito di guerra (la prima, qui presa nell'anno della vittoria, il 1918) o un vigliacco che si è ferito da solo per non tornare al fronte. Nel compito lo aiuta Giulio (uno strepitoso Alessandro Borghi) suo amico dai tempi dell'università e l'infermiera Anna (la bravissima Federica Rosellini). Qualcuno però, all'interno dell'ospedale sta aiutando i soldati, aggravando le loro ferite per non farli tornare in trincea. Nel frattempo incombe la terribile febbre spagnola. Se l’intento di Gianni Amelio era quello di fare un affresco storico dell’Italia di quell’epoca, tanto di cappello, da quel punto di vista il film è bellissimo, anche visivamente ed è perfetto e ben calibrato nei tempi e nella recitazione di tutti, attori principali e secondari. Inoltre parlare dell’orrore della guerra senza mai mostrarla, a parte l’inizio in cui un soldato aggira un cumulo di morti per prender loro qualunque cosa non serva più ai defunti, è un’ottima idea. Crediamo invece che il luogo del “campo di battaglia” del titolo sia lo strano rapporto che si crea tra i due ufficiali medici, divisi da una visione differente del senso del dovere e del patriottismo ma uniti da un’amicizia forte. Liberamente tratto da “La sfida” di Carlo Patriarca e scritto con Alberto Taraglio (come i precedenti “La tenerezza” e “Hammamet”) l’opera risente del metodo lavorativo di Amelio che scrive e poi in fase di shooting aggiunge nuove scene o modifica le stesse più volte. Questa lavorazione ha probabilmente prodotto una sorta di divisione in due del film: il passaggio tra la fine della guerra (e del conflitto tra i due medici) e l’arrivo funesto della febbre spagnola (che ricorda tanto il Covid) è troppo repentino e i personaggi mutano i loro caratteri in (troppo) poco tempo dando l’idea della scrittura a tavolino. Inoltre la figura di Anna ha poco spessore, sembra più una figurina, la Rosellini è molto brava, ma poco può per rendere un’immagine reale el suo personaggio. Meglio definiti al contrario i ruoli maschili. E’ un peccato perché il film è veramente bello e merita, comunque, la visione. Al cinema.

venerdì 6 settembre 2024

PARADISE IS BURNING di Mika Gustafson

 


Laura, Mira e Steffi sono sorelle di età diverse che vivono da sole: è estate e la madre è "scomparsa" a Natale, abbandonandole alla loro vita. Laura ha 15 anni e protegge la sorellina Steffi di 7 anni come una madre; inoltre difende la 12enne Mira quando è attaccata da altri compagni di scuola, luogo che tutte frequentano. Si arrabattano in vari modi per mantenersi: chiedono il detersivo alla vicina o rubano generi alimentari al supermercato con brillanti escamotage. Oltre che a occuparsi delle sorelle Laura prova a vivere come ogni adolescente, cercando di divertirsi, fumando erba o ubriacandosi, o ancora penetrando nelle case e ville vuote per stare nelle loro piscine o "rubare" attimi di serena normalità sdraiata sul letto o guardando la televisione. E quando tutto sembra andar bene incombe la visita dell'assistente sociale. C'è molto cinema nella fulminante opera prima della 36enne svedese Mika Gustafson: l'inizio tutto su Laura con camera a spalla e gran ritmo ricorda un po' quel "Rosetta" che nel 1999 diede il via ai fratelli Dardenne; mentre entrare nelle case altrui ricorda un po’ "Ferro 3" di Kim Ki Duk: anche qui Laura, le sorelle e le amiche lo fanno per entrare nelle vite degli altri o per l’illusione di un'altra vita. Non ci sono manierismi né compiacimenti, la regista segue le vicende delle sorelle senza giudicarle, le mostra nella propria bellezza di esseri che cercano di vivere senza la presenza di un adulto. Perché gli adulti non sono quasi presenti e se lo sono non sono d'aiuto quasi mai. Un film toccante, che, senza mai sfiorare il pietismo, commuove (nel senso più puro del termine, commuoversi = muoversi con, partecipare) e arriva là dove deve, al cuore e all'anima. Forte di tre giovani attrici incredibili e di una scrittura rigorosa, ha vinto la sezione Orizzonti a Venezia 2023 come miglior regia e miglior regista sotto i 40 anni. Un film forte, delicato, ispirato, che non scivola via tanto facilmente. Da non perdere. Al cinema.