Amerigo, celebre violinista ricorda la sua vita passata e di come fu salvato dalla famiglia cui venne affidato. Infatti nel 1946 il partito comunista di Napoli organizzò alcuni treni detti "della felicità" che portavano i bambini poveri e denutriti dalla città partenopea, pesantemente colpita dalla guerra, a Modena e provincia per essere affidati alle famiglie delle campagne locali. Si trattava di accoglienza e non di carità, tant'è che passati sei mesi i bimbi potevano scegliere se tornare alla loro città natale o rimanere al nord. Tratto dal bel libro omonimo di Viola Ardone, Cristina Comencini dirige con mano sicura senza pietismi e lungaggini un film bello e commovente su un fatto realmente accaduto che diede un futuro a un’infanzia cui sembravano negate sopravvivenza e educazione. Il suo sguardo si sofferma anche sul ruolo delle donne comuniste dell’Emilia che, in assenza degli uomini partiti in guerra e che ancora dovevano rientrare nei paesi di nascita, si rimboccarono le maniche e svolsero le mansioni che abitualmente spettavano ai maschi. Alcune di loro combatterono i partigiani in nome di un'Italia non più divisa tra nord e sud ma unita. E’ proprio l’unità di un’Italia dei tempi andati che emoziona perché fa pensare a un periodo storico in cui l'ideologia aveva un'importanza enorme e ci si batteva per essa. Il film tratteggia anche questo aspetto, senza entrare a piedi uniti nell'argomento ma facendolo intravvedere come una parte della narrazione. La regista dirige bene anche il bravo gruppo di attori e attrici, tra cui svetta una grandissima Barbara Ronchi, cui basta un semplice movimento della testa per dare espressività al personaggio di Derna, comunista ex combattente; Antonia Truppo in un ruolo non da cattiva (finalmente!) è molto molto brava e convincente. Mentre Serena Rossi gigioneggia un poco esprimendo una napoletanità che fa pensare a una copia di Sofia Loren. Molto bravo anche Francesco Di Leva (ma quando mai non lo è!) e Manuel Cervone che impersona Amerigo bambino con grande naturalezza. Un po' “fermo” dal punto di vista espressivo Stefano Accorsi. Il film, presentato su grande schermo alla scorsa Festa del cinema di Roma viene distribuito direttamente e in esclusiva su piattaforma digitale. Da vedere, su Netflix.
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martedì 17 dicembre 2024
IL TRENO DEI BAMBINI di Cristina Comencini
Amerigo, celebre violinista ricorda la sua vita passata e di come fu salvato dalla famiglia cui venne affidato. Infatti nel 1946 il partito comunista di Napoli organizzò alcuni treni detti "della felicità" che portavano i bambini poveri e denutriti dalla città partenopea, pesantemente colpita dalla guerra, a Modena e provincia per essere affidati alle famiglie delle campagne locali. Si trattava di accoglienza e non di carità, tant'è che passati sei mesi i bimbi potevano scegliere se tornare alla loro città natale o rimanere al nord. Tratto dal bel libro omonimo di Viola Ardone, Cristina Comencini dirige con mano sicura senza pietismi e lungaggini un film bello e commovente su un fatto realmente accaduto che diede un futuro a un’infanzia cui sembravano negate sopravvivenza e educazione. Il suo sguardo si sofferma anche sul ruolo delle donne comuniste dell’Emilia che, in assenza degli uomini partiti in guerra e che ancora dovevano rientrare nei paesi di nascita, si rimboccarono le maniche e svolsero le mansioni che abitualmente spettavano ai maschi. Alcune di loro combatterono i partigiani in nome di un'Italia non più divisa tra nord e sud ma unita. E’ proprio l’unità di un’Italia dei tempi andati che emoziona perché fa pensare a un periodo storico in cui l'ideologia aveva un'importanza enorme e ci si batteva per essa. Il film tratteggia anche questo aspetto, senza entrare a piedi uniti nell'argomento ma facendolo intravvedere come una parte della narrazione. La regista dirige bene anche il bravo gruppo di attori e attrici, tra cui svetta una grandissima Barbara Ronchi, cui basta un semplice movimento della testa per dare espressività al personaggio di Derna, comunista ex combattente; Antonia Truppo in un ruolo non da cattiva (finalmente!) è molto molto brava e convincente. Mentre Serena Rossi gigioneggia un poco esprimendo una napoletanità che fa pensare a una copia di Sofia Loren. Molto bravo anche Francesco Di Leva (ma quando mai non lo è!) e Manuel Cervone che impersona Amerigo bambino con grande naturalezza. Un po' “fermo” dal punto di vista espressivo Stefano Accorsi. Il film, presentato su grande schermo alla scorsa Festa del cinema di Roma viene distribuito direttamente e in esclusiva su piattaforma digitale. Da vedere, su Netflix.
sabato 7 dicembre 2024
LA STANZA ACCANTO di Pedro Almodovar
Ingrid e Martha sono due amiche di lunga data che vivono a New York: Ingrid è scrittrice e nell’ultimo libro affronta la propria incapacità ad accettare la fine della vita; Martha, ex corrispondente di guerra ha invece stilato articoli che parlavano di sofferenza e morte. Quest’ultima ha scoperto di avere un tumore che potrebbe essere curabile, ma ha accettato l’idea e la possibilità di “abbandonare il party”, prendendo una pillola che dà la morte acquistata nel dark web e chiede all’amica di vivere con lei gli ultimi giorni di vita. Sulla carta l’ultimo film di Almodovar è importante e necessario in un’epoca in cui si parla spesso di eutanasia e di morte assistita. Tratto dal romanzo “Attraverso la vita” di Sigrid Nunez e sceneggiato dal regista stesso sembrerebbe che tutto funzioni. Invece qualcosa manca: il film, nonostante il buon ritmo e le interpretazioni magistrali di due attrici strepitose e perfette, Julianne Moore (Ingrid) e Tilda Swinton (Martha), non arriva dove dovrebbe. Si contorce tra questioni di cambiamento (climatico, passaggio dalla vita alla morte) e legali e tralascia l’emotività, l’empatia che si dovrebbe creare tra vicenda filmica e spettatore: se l’emozione viene a mancare ci si può limitare solo a osservare una storia e non a viverla. Inoltre si ha l’impressione che i dialoghi, d’altronde molto belli, siano perfetti per un film spagnolo con attori europei ma risultino finti per una messa in scena americana, nonostante lo sforzo per renderlo vero delle attrici. Spiace perché da questo film, primo in lingua inglese del regista spagnolo, ci si attendeva di più, forse più struggimento e più realtà. A tratti poetico e malinconico, il film ha vinto il Leone d’Oro all’ultimo festival di Venezia. Nel cast figurano anche John Turturro e Alessandro Nivola. Al cinema.

