Catello Palumbo, ex sindaco di un paese siciliano, esce dal carcere di Cuneo dopo aver scontato la pena per concorso in associazione mafiosa. Tornato a casa si accorge subito di non aver più peso nella vita della cittadina e accetta di collaborare con i servizi segreti, iniziando così un rapporto epistolare, a base di pizzini, con il giovane latitante Mattia Messina Denaro, con lo scopo di favorirne la cattura. Giunti al terzo film Fabio Grassadonia e Antonio Piazza ispirandosi liberamente a fatti realmente accaduti (e inventando alcuni personaggi) raccontano con grande coraggio un episodio vero avvenuto durante la latitanza del giovane capo mafia. Tra grandangoli e primi piani il duo registico abbandona la poesia di "Salvo" e il racconto reale ma favolistico di "Sicilian ghost story" per utilizzare a piene mani l'ironia del tragicomico e del sarcastico. Molti episodi del latitante sono trattati con un umorismo viscerale dovuto anche al fatto, ribadito anche dai due registi, che il loro non è un film biografico. Prendendo in esame le lettere scritte dal boss (che fanno parte del libro “Lettere a Svetonio” di Salvatore Mugno) ricreano situazioni più o meno verosimili, seguendo la “loro” logica di story tellers che rimodellano la realtà. La figura di Palumbo è la chiave di questa vicenda, un uomo tanto machiavellico quanto ridicolo, quasi una caricatura che l’ottimo Toni Servillo interpreta seguendo le regole mutevoli di una recitazione in movimento e mai fissa. Più controllato Elio Germano nel personaggio di Messina Denaro, reso come intrappolato nella immutabilità del proprio ruolo di boss. Nel cast sono da citare anche le bravissime Barbora Bobulova e Antonia Truppo, nonché il camaleontico Fausto Russo Alesi. Fotografia di Luca Bigazzi, musiche molto belle di Colapesce. Un gran buon film da vedere. Al cinema.
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