Albert
e Bruno si incontrano casualmente mentre Bruno sta cercando di togliersi la
vita. In qualche modo Albert lo salva e da quel momento scoprono entrambi di
essere nella stessa condizione di povertà. Pieni di debiti a causa di inutili acquisti
seriali i due sbarcano il lunario come possono e sulla loro strada incontrano
un gruppo di attivisti (capitanato dalla bella Cactus di cui si innamora
Albert) che cercano di sensibilizzare la gente su temi legati al clima e ai consumi
sfrenati. Decidono di farne parte non tanto per convinzione ma per interesse personale.
Gli elementi per ripetere l’enorme successo di “Quasi amici” di dodici anni fa ci
sono tutti: l’amicizia notevole che si crea tra i due personaggi, una comicità
un po’ amara ma non troppo, il senso di una tragedia dietro l’angolo, una profondità
nel raccontare una situazione di indigenza sì, però dignitosa. Uno dei due
registi, Olivier Nakache, presentando il suo film al Torino Film Festival, ha parlato dell’amicizia
che lo lega a Eric Toledano (l’altro regista) fin dai tempi delle colonie estive,
un’amicizia che si è rafforzata nel corso del tempo grazie all’amore per il cinema,
e anche a certi film “forti” e profondi del cinema italiano come “C’eravamo
tanto amati”. “Un anno difficile” infatti riprende un po’ il filo della commedia
al’italiana unita da un cinema di impegno sociale. Se si ride di certi codici
della militanza ecologica (e i due hanno fatto un lavoro immersivo nelle
associazioni militanti) è perché l’intenzione dei registi/sceneggiatori è raccontare
un ponte tra due generazioni, tra due mondi e tra due modi diversi di vedere le
cose. Nel cast gli straordinari Pio Marmaï, Jonathan Cohen, Noémie Merlant (“Ritratto
della giovane in fiamme”) e un sempre grande Mathieu Amalric. Il film è molto
divertente; esilarante è la sequenza iniziale con i presidenti della repubblica.
Da non perdere. Al cinema.Archivio
giovedì 30 novembre 2023
UN ANNO DIFFICILE di Olivier Nakache e Eric Toledano
Albert
e Bruno si incontrano casualmente mentre Bruno sta cercando di togliersi la
vita. In qualche modo Albert lo salva e da quel momento scoprono entrambi di
essere nella stessa condizione di povertà. Pieni di debiti a causa di inutili acquisti
seriali i due sbarcano il lunario come possono e sulla loro strada incontrano
un gruppo di attivisti (capitanato dalla bella Cactus di cui si innamora
Albert) che cercano di sensibilizzare la gente su temi legati al clima e ai consumi
sfrenati. Decidono di farne parte non tanto per convinzione ma per interesse personale.
Gli elementi per ripetere l’enorme successo di “Quasi amici” di dodici anni fa ci
sono tutti: l’amicizia notevole che si crea tra i due personaggi, una comicità
un po’ amara ma non troppo, il senso di una tragedia dietro l’angolo, una profondità
nel raccontare una situazione di indigenza sì, però dignitosa. Uno dei due
registi, Olivier Nakache, presentando il suo film al Torino Film Festival, ha parlato dell’amicizia
che lo lega a Eric Toledano (l’altro regista) fin dai tempi delle colonie estive,
un’amicizia che si è rafforzata nel corso del tempo grazie all’amore per il cinema,
e anche a certi film “forti” e profondi del cinema italiano come “C’eravamo
tanto amati”. “Un anno difficile” infatti riprende un po’ il filo della commedia
al’italiana unita da un cinema di impegno sociale. Se si ride di certi codici
della militanza ecologica (e i due hanno fatto un lavoro immersivo nelle
associazioni militanti) è perché l’intenzione dei registi/sceneggiatori è raccontare
un ponte tra due generazioni, tra due mondi e tra due modi diversi di vedere le
cose. Nel cast gli straordinari Pio Marmaï, Jonathan Cohen, Noémie Merlant (“Ritratto
della giovane in fiamme”) e un sempre grande Mathieu Amalric. Il film è molto
divertente; esilarante è la sequenza iniziale con i presidenti della repubblica.
Da non perdere. Al cinema.venerdì 24 novembre 2023
THE KILLER
Parigi: dalla stanza di un
appartamento vuoto un killer professionista, metodico e rigoroso, si prepara al
proprio incarico: uccidere un uomo in una camera di un’abitazione situata a diversi
centinaia di metri da lui. Mentre attende il momento propizio un flusso di coscienza
continuo ci parla del suo lavoro come di una routine noiosa, dove la mancanza
di empatia favorisce il proprio compito. Armato di fucile di alta precisione il
killer si dispone a compiere il suo lavoro, ma proprio sul momento di sparare una
donna si frappone tra lui e l’obiettivo e il killer fallisce. Da quel momento
in poi la sua vita si complica e dovrà fare i conti con chi cerca di eliminarlo
perché ha fallito nel suo compito. L’ultima opera di David Fincher, adattamento
cinematografico dell’omonima graphic novel scritta e illustrata dai francesi
Matz e Luc Jacomon, è un action thriller diviso in sei parti ed è molto
godibile, sia per come viene narrata la vicenda, sia per la costante tensione
che si respira, aiutata molto anche dalle sonorità elettroniche di Trent Reznor
e Atticus Ross e dal montaggio preciso di Kirk Baxter, veterano dei film di Finch.
Il killer (un gelido e imperscrutabile Michael Fassbender) non parla molto eppure
suscita nello spettatore quell’empatia un po’ perversa verso un criminale perseguitato
“solo” per aver fallito il proprio lavoro e che uccide per vendicarsi. Presentato
in concorso al Festival di Venezia il film è uscito per pochi giorni solo in alcune
sale e poi è stato distribuito (come il precedente “Mank”) da Netflix. Nel cast
di questo bel film anche Charles Parnell e Tilda Swinton. Da notare la colonna
sonora, composta quasi interamente da canzoni degli Smiths. Su Netflix.
venerdì 17 novembre 2023
ANATOMIA DI UNA CADUTA
giovedì 9 novembre 2023
RIABBRACCIARE PARIGI
giovedì 2 novembre 2023
KILLERS OF THE FLOWER MOON
Oklahoma, anni ’20. Il giovane Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio), reduce della grande guerra, torna nel paese natio di Fairfax per vivere sotto l’ala protettrice dell’avido zio William, detto King (Robert De Niro). Il ragazzo ama le donne e l’alcool e non sembra avere una propria volontà, tanto che lo zio lo spinge a sedurre Mollie (una notevole Lily Gladstone), indiana Osage per sottrarle il denaro proveniente dai terreni. Gli Osage, infatti, avevano scoperto che sotto le terre di loro proprietà si celavano enormi giacimenti di petrolio, in un’epoca in cui l’oro nero era molto apprezzato per via del commercio delle auto che andava sviluppandosi in quegli anni. Gli Osage divennero la popolazione più ricca al mondo ed è ovvio che tale ricchezza facesse gola a molti. Lo zio King è un abile manipolatore e, se da una parte sembra un benefattore per la cittadina e la comunità indiana, dall’altra non esita a mettere in pratica i suoi diabolici piani per accaparrarsi terreni e denaro. Martin Scorsese (80 anni e non sentirli!) dirige questo bellissimo e intenso film, partendo dalla storia vera (narrata nel saggio di David Grann, Gli assassini della terra rossa) dello sterminio del popolo Osage. Scrive (insieme a Eric Roth) la sceneggiatura e intesse un racconto terribile di violenza e cupidigia: in questo senso lo zio King diventa una sorta di capo mafia che muove gli uomini come pedine su una scacchiera solo per il guadagno della sua famiglia. In un certo senso è la “solita” storia del popolo americano che razzia le terre dei nativi uccidendoli: il razzismo non parte dall’odio ma dal non possedere la ricchezza degli indiani. Il film è grandioso, misurato, nulla è fuori posto, e in un film di tre ore e mezza poteva anche accadere: e invece no, nessuna lungaggine, il ritmo regge, ogni scena (alcune bellissime, quelle dei rituali indiani) tiene col fiato sospeso, e si vuole sempre sapere cosa accadrà nella scena successiva. La versione originale rende meglio di quella doppiata, si entra di più nel racconto. Dal punto di vista della recitazione DiCaprio ha una certa paralisi facciale (come nella locandina) che pure è del personaggio, per cui alla fine se la cava bene. De Niro è grande, come sempre. Lily Gladstone è bravissima e intensa, speriamo che rientri nella corsa per l’Oscar. Nel cast anche Jesse Plemons, Brendan Fraser e John Lithglow. Il titolo si riferisce ai fiori violacei che nascono in Oklahoma e che gli Osage chiamavano “flower moon”. Presentato fuori concorso a Cannes. Da non perdere. Al cinema.



